“L’Africa è una priorità europea”. E’ il titolo di un articolo di Romano Prodi e Mario Pezzini uscito oggi su Il Sole 24 Ore. L’articolo comincia con la retorica caratteristica di questi tempi: l’Africa che cresce, la nascita di una nuova classe media, il continente delle opportunità, etc…
Ma se si legge bene emerge, anche nelle parole dei due autori, un’Africa che non è l’immagine dell’ottimismo per il futuro. Gli autori cominciano con il citare il massimo organismo sovranazionale del continente, l’Unione Africana: “La crescita attuale non basta, ci vuole una trasformazione economica e sociale profonda”.
In sostanza la formidabile crescita africana viene addebitata al dirompente (quadruplicato in dieci anni) aumento del commercio che vede il continente (ancora) come grande esportatore di materie prime non lavorate: legname ancora in tronchi, minerali appena estratti, prodotti agricoli appena raccolti.
“L’Africa – dicono testualmente gli autori – continua ad essere prevalentemente un fornitore di materie prime destinate ad essere valorizzate in Asia o nei paesi Ocse”.
E comunque, ammettono Prodi e Pezzini, il dirompente commercio africano costituisce appena il 2% di quello totale e, cito testualmente, “la ricchezza economica emergente non contribuisce automaticamente al benessere della popolazione”.
A tutto ciò mi permetto di aggiungere un aspetto che Prodi e Pezzini sfiorano solamente ma che per lo sviluppo del continente considero essenziale. Non c’è sviluppo senza distribuzione della ricchezza e questa si può fare solamente se aumentano (e devono aumentare in modo sensibile) le esportazioni di prodotti lavorati: l’industria di trasformazione distribuisce salari e stipendi che formano un potere d’acquisto che è vitale per una economia autoctona. E la distribuzione della ricchezza la possono fare solo classi politiche costrette a muoversi in un ambito democratico (i dittatori hanno entourage onnivori che risucchiano tutto, e possono farlo impuniti).
Non è il caso dell’Africa: in Angola l’élite al potere non è mai cambiata dai tempi dell’indipendenza, in Mozambico anche, uomini come Idris Deby Itno in Ciad, Sassu N’Guesso in Congo, Omar Al Bachir in Sudan, Isaias Afworki in Eritrea, la famiglia Bongo in Gabon e quella di Eyadema in Togo sono solo alcuni esempi di “dinosauri” africani inamovibili, con un entourage sempre più folto che spesso viene scambiato per classe media.
Se per l’Europa l’Africa è una priorità, come recita il titolo dell’articolo, bisognerebbe subito mettere sotto sanzioni questi personaggi, anche se hanno concesso ottimi contratti per l’estrazione di materie prime minerarie o agricole. Per intenderci non bisogna fare come si è fatto con il dinosauro africano del Burkina Faso, Blaise Compaorè, rimasto al potere fino a qualche settimana fa. Per 27 anni ha goduto del sostegno, dell’appoggio, dell’aiuto di una Europa che lo ha scaricato solo dopo che la Piazza, esasperata, lo ha rovesciato e costretto a fuggire.
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