Continua a salire il numero delle vittime del gravissimo attacco terroristico che ha devastato il centro di Mogadiscio sabato scorso, 14 ottobre. Secondo le dichiarazioni del ministro dell’Informazione del governo somalo, questa mattina si contavano 276 morti e almeno 300 feriti. Ma i dispersi sono ancora molti, come i feriti che non sopravvivono alle prime cure. Tra le vittime ci sarebbero anche dei volontari della Luna Crescente somala, la denominazione della Croce Rossa nei paesi musulmani. E’ il più devastante attentato nella storia del paese. Il gruppo indipendente locale Aamin Ambulance, ha dichiarato via Tweet che non ha visto nulla di simile nei dieci anni di attività come organizzazione di pronto intervento, dopo i numerosi attentati che si sono registrati in città.
Tutto riconduce al modo di operare del gruppo al-Shabaab, responsabile di decine e decine di sanguinosi attentati nel paese, che per ora, però, non ha rivendicato l’azione. Un camion carico di esplosivo è stato fatto saltare in un quartiere centrale di Mogadiscio, davanti al Safari Hotel, ad un incrocio nelle vicinanze di diverse ambasciate e uffici governativi, tra cui il ministero degli Esteri.
Nella terribile esplosione gli edifici circostanti sono crollati seppellendo decine di persone, i veicoli in transito si sono incendiati, così come i negozi che costeggiavano la strada. Le operazioni di soccorso sono continuate per tutta la notte. Il primo ministro, Hassan Ali Khaire, ha dichiarato che i miliziani di al-Shabaab “se ne fregano della vita dei somali… Hanno colpito la zona più popolosa di Mogadiscio, uccidendo solo civili”. Due ore dopo, un’altra esplosione, meno potente, ha devastato l’area della Medina. Il presidente Mohamed Abdullahi Mohamed, detto Farmajo, ha invitato i cittadini di Mogadiscio a dimostrare solidarietà con le vittime, donando il proprio sangue – lui stesso ha dato l’esempio – e ha proclamato 3 giorni di lutto nazionale.
Lacune nella sicurezza
L’attentato è avvenuto due giorni dopo le dimissioni concomitanti del ministro della Difesa, Abdirashid Abdullahi Mohamed, e del capo di Stato maggiore dell’esercito, Mohamed Ahmed Jimale, circostanza che svela problemi nella gestione di uno dei settori cruciali del paese, quello della sicurezza.
Le dimissioni sono arrivate in un momento molto delicato per l’esercito somalo, sempre più frequentemente attaccato dal terroristi di al-Shabaab, che proprio negli ultimi mesi hanno preso il controllo di diverse postazioni governative e hanno esteso la presenza su zone del territorio da cui avevano dovuto ritirarsi sotto l’incalzare delle truppe regionali dell’Amisom (forti di 22.000 uomini) e dei bombardamenti dei droni americani. Proprio sabato ha ripreso il controllo della cittadina di Bariire, a soli 50 chilometri da Mogadiscio, nella regione del Basso Shabelle.
Analisti e diplomatici sottolineano come il camion pieno di esplosivo ha dovuto passare diversi posti di blocco dove tutti i veicoli dovrebbero essere ispezionati prima di poter proseguire, cosa che evidentemente non è avvenuta nel caso dei due mezzi che sono saltati in aria sabato mattina nel centro della città.
La circostanza confermerebbe le voci di divisioni negli apparati di sicurezza del paese e renderebbe evidente la persistente fragilità dell’apparato statale, otto mesi dopo l’insediamento del nuovo presidente e del nuovo governo che avevano fatto sperare in un’evoluzione positiva della situazione complessiva del paese.
Al-Shabaab in ripresa
L’attentato di sabato chiarisce inoltre che al-Shabaab ha ripreso l’iniziativa in modo clamoroso, dopo un periodo di crisi in cui c’erano state lotte per la leadership e defezioni che avevano dato origine alla formazione di unità che si ispirano al progetto dello stato islamico. Rashid Abdi, direttore del settore Corno d’Africa dell’International Crisis Group, un centro studi e di advocacy con sede a Nairobi, ha osservato che l’attentato “E’ un segnale chiaro che al-Shabaab non è finito e fuori dai giochi; piuttosto sta intensificando il conflitto”.
Una Somalia ancora, e sempre più, instabile è un evidente pericolo anche per il Kenya, che sta vivendo un turbinoso e drammatico periodo elettorale, e per l’intera regione. Potrebbe diventare base e terreno di confronto anche della più vasta crisi mediorientale e di quella del Golfo in particolare. Già ora la compagine statale è divisa tra i diversi blocchi che vi si combattono, con i governi regionali che stringono accordi non sempre in linea con quelli del governo centrale, sottolinea Abdi.
Il Fondo Monetario Internazionale, in un suo recente rapporto, mette l’accento sull’aspetto economico della crisi attraversata dal paese: i più gravi problemi che impediscono il decollo dello sviluppo sarebbero la debolezza delle istituzioni, la diffusione della povertà, un insufficiente sviluppo delle infrastrutture economiche e l’altissimo tasso di disoccupazione giovanile. Il tutto reso ancora più drammatico dalla siccità, per cui il 45% della popolazione (6,2 milioni di persone) dipende, e dipenderà nel prossimo anno, dagli aiuti alimentari per la sopravvivenza.
Senza sviluppo non ci sarà stabilità, ma senza stabilità lo sviluppo non potrà mettersi in moto, dice in sostanza il rapporto. E’ un circolo vizioso in cui la Somalia è intrappolata da troppi anni, un circolo vizioso la cui rottura, purtroppo, sembra ancora piuttosto lontana.
(articolo tratto da www.nigrizia.it)