BRASILE: BOLSONARO ACCUSATO DI CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ

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“La Commissione d’inchiesta del Congresso brasiliano ha chiesto che il presidente Jair Bolsonaro sia giudicato per “crimini contro l’umanità” per la disastrosa gestione della pandemia da Covid-19 che ha provocato oltre 600mila morti, facendo del Brasile il secondo paese al mondo per numero di vittime dopo gli Stati Uniti. Dopo quasi sei mesi di audizioni, con testimonianze e rivelazioni scioccanti sulle responsabilità attribuibili al capo dello stato, la commissione, composta da senatori di varie correnti, ha rilasciato un rapporto di circa 1200 pagine in cui la posizione di Bolsonaro nei confronti del virus è descritta come “un mix di negligenza, incompetenza e negazionismo anti-scientifico”. L’accusa più grave riguarda la decisione “deliberata e cosciente”, scrivono i senatori, presa nonostante la contrarietà di tutte le autorità sanitarie, di ritardare l’acquisto dei vaccini, condannando a morte migliaia di cittadini. All’ultimo sono state invece stralciate le accuse per “genocidio” e “omicidio di massa” contro le popolazioni indigene usate come ‘cavie’ per presunte terapie prive di ogni validità scientifica. I senatori – che chiederanno alla Camera Alta di esprimersi sulle richieste di messa in stato d’accusa del presidente il prossimo 26 ottobre – chiedono anche l’incriminazione di altre 70 persone tra cui i figli del presidente, ex e attuali ministri, deputati e grandi imprenditori, oltre a medici e funzionari pagati per propagandare la strategia “dell’immunità di gregge”.
Popoli indigeni: una generazione persa?
Pur avendo deciso di stralciare le accuse di ‘genocidio’ e ‘omicidio di massa’, i senatori della commissione si soffermano nel rapporto sulla situazione delle popolazioni indigene, abbandonate al proprio destino durante le varie ondate epidemiche. Più fragili del resto della popolazione, queste ultime avrebbero infatti dovuto ricevere un sostegno speciale. Ma il presidente “aveva già messo in atto prima della pandemia una politica anti-indigena, esponendo questi ultimi all’invasione e alla violenza”, si legge nel documento. Così, quando è arrivata l’emergenza sanitaria, le comunità rurali “erano già indebolite, mal assistite e vessate. Bastava intensificare gli atti di ostilità e soprattutto non aiutarle, come è stato fatto, per provocare un’ecatombe”. L’aumento degli omicidi di leader delle comunità, l’invasione dei loro territori ancestrali, la mancanza di accesso alle cure sanitarie, compresa l’acqua potabile, così come la deforestazione e gli incendi dell’Amazzonia, “fanno parte della stessa politica, intenzionale e criminale”, molto dettagliata nel documento. “L’immunità del presidente non è eterna e il nostro lavoro punta anche alle istituzioni esterne al Brasile”, ha spiegato il senatore del Partito dei Lavoratori Humberto Costa, aggiungendo che una copia del rapporto sarà pertanto inviata anche all’UNHCR, alla Commissione interamericana per i diritti umani e alla Corte penale internazionale.

Migliaia di morti evitabili?
Anche se le accuse più roboanti sono saltate, il presidente brasiliano è accusato di 11 capi di imputazione tra cui epidemia colposa, uso illegale di fondi pubblici, falsificazione di documenti, promozione di false cure e crimini contro l’umanità. In totale, le pene previste raggiungono i 50 anni di detenzione. Dall’inizio dell’emergenza Bolsonaro ha minimizzato la minaccia del virus, scoraggiato l’uso della mascherina e dei vaccini e autorizzato la fabbricazione di medicinali a base di idrossiclorochina per 6,4 milioni di euro. Secondo i senatori che lo accusano, il presidente sarebbe responsabile di oltre 300mila morti evitabili. Come a dire che una vittima su due, in Brasile, è da imputare alle fallimentari e deliberate strategie antiscientifiche adottate dal governo. Accuse per cui il leader di estrema destra non si ritiene colpevole. “Sappiamo di aver fatto la cosa giusta sin dall’inizio”, ha dichiarato il presidente che però, di fatto, rischia l’impeachment. Ma secondo gran parte dei commentatori brasiliani, è improbabile che il presidente paghi, politicamente o legalmente, per le conseguenze delle sue azioni. Per processarlo è necessaria l’approvazione del procuratore generale, suo solido alleato, mentre per la messa in stato d’accusa servirebbe il via libera della camera bassa del Congresso, dove molti esponenti sono ancora vicini al presidente.
Brasiliani disillusi?
Secondo gli ultimi sondaggi il 58% dei brasiliani disapprova la presidenza di Bolsonaro, e la maggioranza lo dà sconfitto al primo turno nelle elezioni del 2022. Oltre alle politiche sanitarie, ad affossare la sua popolarità sono le ricadute economiche della pandemia sulla vita dei brasiliani: oggi il 14% della popolazione è disoccupato, la banca centrale sta aumentando i tassi di interesse e i prezzi dei beni, cresciuti di oltre il 10% nell’ultimo anno, stanno letteralmente divorando i salari. Il razionamento energetico, che il governo potrebbe presto dover introdurre a causa della crisi energetica globale, eroderebbe ulteriormente la sua popolarità. Nel tentativo di invertire la tendenza, il presidente ha varato il programma di sussidi ‘Auxílio Brasil’, il cui annuncio, lo scorso 19 ottobre, ha spaventato gli investitori e fatto crollare del 3% Ibovespa, il principale indice di borsa del Brasile. Ciononostante, Bolsonaro ha confermato che i sussidi mensili di 400 reais (71 dollari) ai cittadini più poveri andranno avanti, senza violare i limiti di spesa. Mentre i consensi crollano, Bolsonaro e i membri della sua famiglia sono già indagati per corruzione e diffusione di notizie false. E anche se la ‘rete di protezione’ intorno al presidente dovesse bastare a proteggerlo dalle accuse contenute nell’inchiesta del Senato, osserva l’Economist, “il prossimo anno, il presidente del Brasile potrebbe trovarsi a lottare contemporaneamente su due fronti: per vincere le elezioni e per non finire in carcere”.”

(fonte ISPI Daily Focus del 22.10.21)

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